Davide contro Golia: Cittadinanza e Decreto Salvini
In questo articolo non intendo parlare dei dirompenti effetti che il Decreto n. 113 del 2018 ha spiegato in materia di protezione internazionale o pds. Vorrei concentrarmi piuttosto sull’art. 14 e sugli effetti in punto di domanda di cittadinanza.
Oltre ad aver introdotto il requisito della conoscenza linguistica, con effetto retroattivo per le domande già presentate, infatti, il Decreto ha allungato il termine di conclusione del procedimento previsto per la concessione della cittadinanza italiana.
Come molti sapranno, con la vecchia normativa bisognava attendere circa 24 mesi per avere una risposta dall’Amministrazione. Il termine introdotto a partire dal 5 ottobre 2018 è invece pari a 48 mesi.
In senso assoluto queste novità normative possono essere considerate abbastanza “neutre”. Possiamo dire che il requisito linguistico sia un elemento sovrabbondante per la concessione della cittadinanza? Probabilmente no, anzi, sembra giusto imporre ad un soggetto di conoscere la lingua del paese in cui chiede la cittadinanza.
Il problema sorge dal momento in cui la norma entra in vigore il 5 ottobre del 2018 e solo in data 1° marzo 2019 viene pubblicata una circolare che disciplina puntualmente come dimostrare la sussistenza di tale requisito.
La questione assume caratteri ancora più grotteschi se si considera che la richiamata circolare, nell’area centro-nord del nostro Paese, è stata pubblicata dalla sola Prefettura di Ancona.
Chiamando altre prefetture mi sono sentita rispondere: “È stato introdotto il requisito linguistico e dovete provarlo!“. Non starò a riferire le risposte alla conseguente e logica domanda “Come?“.
Vogliamo dire che anche l’Amministrazione ha diritto ad un po’ di tempo per adeguarsi alle novità introdotte dal legislatore?!? Benissimo, diciamolo pure. Unico problema è che la mancata dimostrazione di conoscenza della lingua italiana implica l’immediato rifiuto della domanda.
Tornando al termine di conclusione del procedimento, non posso fare a meno di rilevare che il comma 1, lett. a), del già citato art. 14 ha anche abrogato l’art 8, comma 2, della Legge n. 91/1992.
La norma abrogata si riferiva alla domanda di cittadinanza iure matrimonii e, tuttavia, l’effetto che la modifica ha comportato è stato quello di eliminare un regime di fatto assimilabile a quello del silenzio assenso.
Infatti la norma vietava di rigettare la domanda presentata iure matrimonii decorsi due anni dalla presentazione della stessa.
L’eliminazione di questa norma ha portato così a ritenere che l’aspettativa del richiedente sia degradata a mero interesse legittimo con conseguente riespandersi della giurisdizione amministrativa che oggi diviene esclusiva per tutti i procedimenti relativi alla cittadinanza.
Peraltro, solo per i provvedimenti di inammissibilità o improcedibilità emanati dalle prefetture è competente il Tribunale Amministrativo Regionale del luogo in cui ha sede la Prefettura che ha emanato il provvedimento, per tutto il resto la competenza resta in capo al Tar Lazio (con tutto ciò che implica sia per l’istante che per il carico di lavoro del Tribunale).
Comunque, va detto, il rimedio del Ricorso Straordinario al Presidente della Repubblica non è stato intaccato (forse perché tutte le strade portano a Roma).
Fin qui, comunque, possiamo ancora dire che lo Stato ha assoluta discrezionalità nella regolamentazione dei procedimenti che sfociano in atti di Alta amministrazione. Soprattutto in tema di cittadinanza dove l’emissione di un provvedimento favorevole non è più revocabile.
Facciamo però qualche passo indietro. Diciamo che non possiamo stupirci della estensione di molte delle nuove disposizioni alle pratiche non ancora definite. Diciamo che può apparire giusto concedere all’Amministrazione un lasso di tempo maggiore per decidere queste delicate questioni.
Ma quando i passi indietro iniziano ad essere troppi, scopriremo presto, che avremo a che fare con persone che hanno presentato la domanda, per esempio, nel 2015. E che queste persone hanno già atteso lo spirare del termine previsto all’epoca della presentazione della loro domanda. Ed oggi vedono spirare anche il nuovo termine dei 48 mesi, senza alcuna risposta.
Secondo voi, a queste persone, cosa dovremmo dire? Secondo voi cosa dovremmo dire alle persone che questo Decreto lo hanno visto arrivare quando la loro pratica doveva già essere conclusa?!?
Se sapessi che la mia pratica, già istruita e valutata, presentata due anni addietro deve subire uno slittamento di altri due anni mi arrabbierei? Mi arrabbierei se sapessi che le pratiche che passano attraverso qualche Consolato e che riguardano persone più meritevoli di me (perché magari inglesi della Brexit con un posto di prestigio presso la Commissione UE) vengono invece definite senza attendere tale termine?
Non so se mi arrabbierei se fossi un istante, ma di certo non posso rimanere indifferente, come Avvocato, se, dopo aver sollecitato con PEC la conclusione del procedimento e non avendo ricevuto risposta, scrivo di nuovo per avere notizie e vedo rispondermi:
La concessione della cittadinanza è un atto di alta amministrazione e comporta una discrezionalità piena dell’Amministrazione, che deve valutare il rispetto dei requisiti di legge, nonché la capacità dell’interessato di integrarsi nel tessuto nazionale, osservandone i valori fondanti.
L’elevatissimo numero di istanze proposte non consente sempre di assicurare il rispetto dei termini, anche perché occorre procedere alla verifica di requisiti complessi che coinvolgono varie amministrazioni e sono di particolare rilievo per la sicurezza dello Stato. Frequentemente sono avvertite esigenze di accertamenti istruttori supplementari, per consentire il puntuale rispetto delle disposizioni di legge.
Si fa presente che dal momento della presentazione dell’istanza l’interessato ha la possibilità di conoscere, registrandosi sul sito del Ministero, ogni informazione utile sullo stato della propria pratica, che potrà comunque essere assicurata anche attraverso l’accesso agli atti presso le competenti Prefetture.
Con D.L. 4 ottobre 2018, n. 113 recante “Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”, pubblicato nella G.U. n. 231 del 4 ottobre 2018, il termine di conclusione dei procedimenti, anche in corso, di conferimento della cittadinanza italiana è di 48 mesi.
La trattazione delle istanze avviene nel rispetto dell’ordine cronologico e dei vincoli ordinamentali e, ai fini di una proficua collaborazione, è importante che vi sia la partecipazione degli utenti nell’interesse dello svolgimento di un servizio più efficace. Pertanto si auspica che i rapporti siano improntati al massimo rispetto reciproco e si chiede di conseguenza di evitare, per quanto possibile, l’avvio di meccanismi defatiganti di richiesta di notizie destinati ad aggravare ulteriormente la già complessa attività.
Senza stare a sottilizzare circa le differenze fra ‘discrezionalità piena’ ed ‘arbitrio’, questa è l’unica risposta che, per il momento, sono riuscita ad ottenere.
Un messaggio automatico, che non solo non fornisce alcuna informazione sulla pratica oggetto della domanda, che non solo fa riferimento a strumenti ben noti che non vengono aggiornati da mesi e mesi (area riservata online), che non solo mi parla di “ordine cronologico” quando si discorre di una domanda del 2015, ma che, tra le righe, mi dice pure di starmi zitta e di non chiedere perché, chiedendo, divento parte del problema.
Sarebbe stato sicuramente meno degradante leggere un semplice “Ci scusiamo per il disagio, il carico di lavoro non ci permette di dare riscontro immediato alla sua domanda. La preghiamo di avere pazienza e contattarci tra qualche settimana“.
L’art. 2 della Legge n. 241/1990 rimarrebbe comunque lettera morta, il risultato sarebbe esattamente lo stesso ma almeno si assegnerebbero le giuste responsabilità e si conserverebbe un briciolo di umanità ed un velato rispetto.
Avv. Flaminia Leuti